A cura di Saverio Ragone
“Benvenuti, state compiendo il viaggio più figo di tutta l’America!” (The hippest trip in America)
Con queste parole, seguite da “vi auguriamo amore, pace… e SOUL!”, Don Cornelius presentava Soul Train, trasmissione TV nella quale, su di un binario disegnato sul pavimento dello studio, si alternavano cantanti e ballerini al ritmo del funk, del R&B e del TSOP, acronimo di The Sound Of Philadelphia. La trasmissione andò in onda per la prima volta il 2 ottobre del 1971 e da un iniziale diffusione nel solo ambito cittadino di Chicago estese ben presto la sua popolarità a tutta la nazione, diventando per ben trentacinque anni uno dei riferimenti non solo della black music, ma dell’intero movimento afroamericano.
I riferimenti al treno e alla ferrovia sono sempre stati numerosissimi in musica. Nel 1972 saranno proprio degli esponenti del Philly Sound, gli O’Jays, a cantarla con il mitico Love Train, tratto dall’album “The Backstubber”, un inno all’amore universale, gli inviti alla pace del quale suonano quanto mai attuali pensando alle vicende d’oggi riguardanti Russia, Israele, Medio oriente, Cina ed Africa.
La figura psicoanaliticamente ingombrante del treno fa tuttavia la sua apparizione nelle canzoni molti anni prima. Il Golden Gate Quartet, famosissimo gruppo vocale, lo cantava nel 1937 imitandone i suoni e i rumori. Il testo è un invito per i fedeli ad approfittare del passaggio di un imminente Gospel Train, dove gospel è la parola di Dio.
Ancora suoni e onomatopea con l’immortale Glenn Miller e il famosissimo Chattanooga Choo Choo, un numero musicale presentato per la prima volta nel film Sun valley serenade (in Italia Serenata a Vallechiara) del 1941, nel quale il musicista e aviatore, misteriosamente poi scomparso nel dicembre del 1945, aveva perfettamente reso in musica lo sbuffare degli stantuffi.
È il 1957 e quello che oggi consideriamo uno dei titani del jazz registra Blue Train, un calembour tra la forma musicale del brano, un blues appunto, e il suo soprannome, Trane, che incidentalmente ha la stessa pronuncia di train in lingua inglese.
C’è chi poi chi consacra il treno già nel nome del suo gruppo: i Brooklyn Transit Express o, come ebbero a conoscerli tutti, B.T. Express, raggiungono la vetta delle charts nel 1974 con il celeberrimo Do It (‘Til You’re Satisfied).
Come non citare poi la risposta a quel successo da parte dei grandi J.B.’s, la band di James Brown capitanata da Fred Wesley e Maceo Parker: [It’s Not The Express] It’s The J.B.’s Monaurail, titolo che gioca sulla pronuncia inglese quasi identica di monaural (la vecchia registrazione monofonica, in opposto alla moderna stereofonica) e monorail, la ferrovia monorotaia.
C’è una sincera e profonda dedica d’amore per la ferrovia da parte dei Doobie Brothers nella loro super-hit Long Train Runnin’ del 1973:
Well, pistons keep on churnin’
And the wheels go ‘round and ‘round
And the steel rails are cold and hard
On the mountains they go down
In Italia in quegli anni il treno sembra invece assumere contorni politicizzati, quasi un simbolo della lotta di classe. Francesco Guccini, in una di quelle canzoni considerate universalmente come parte della letteratura moderna, lancia “La locomotiva”, che come la Bête Humain di Emile Zola respira e ansima a tutta velocità per compiere la vendetta degli oppressi.
Gli anni settanta se ne vanno lasciando i ragazzi di allora carichi di inquitetudini. Nel 1979 il premio Nobel Bob Dylan nel suo brano Slow Train Coming, dall’album con lo stesso nome, usa la metafora del treno in arrivo dietro la curva per stigmatizzare l’incompletezza dei giovani americani di quel periodo.
Nello stesso anno la Electric Light Orchestra ripropone un eterno dilemma dell’amore, ovvero se assecondarlo oppure fuggirne prendendo appunto Last Train to London. Un altro enorme successo dell’epoca.
Quasi dieci anni dopo i Pasadenas risposano musica e ferrovia con la loro hit Riding on a Train del 1988.
Nel frattempo – era il 1984 – i Bronski Beat avevano girato il loro video di Smalltown Boy su di un treno, che nella storia raccontata dalla canzone portava lontano dalle inquietudini del rapporto coi genitori il ragazzo protagonista.
La nostra panoramica, forzatamente assai incompleta, finisce qui, e non senza un po’ di amarezza concludiamo con un paio delle poche citazioni del treno da parte di artisti nostrani. C’è una foto di fabbrica delle officine Marelli di una E.428 di prima serie sulla copertina di Lampo viaggiatore di Ivano Fossati, ma siamo già nel 2003, e ironicamente quel mostro d’acciaio non esisteva già più, sepolto dalla storia come pure tutti I treni a vapore della canzone, sempre di Fossati, del 1992.
[/cmsmaste
© 2024 La Rivista della ferrovia
Testata iscritta nel Registro degli Operatori di Comunicazione con il numero 39989.
Sono vietate la copia, la riproduzione e la ridistribuzione anche parziali dei contenuti di questa pagina senza espressa autorizzazione della redazione.
Lascia un commento