L’esplosione dell’oleodotto Stanic del 1963
A cura di Giuseppe Foglianese
Nella notte del 18 ottobre 1963 Mariolino Sirressi dormiva, dopo aver passato un lungo turno lavoro alla Stanic di Bari. Era ritornato in paese con l’accelerato 4835 che avrebbe sostato per la notte anch’esso lì, a Gioia del Colle, per poi ripartire in direzione inversa solo la mattina dopo. Quel treno aveva come al solito portato ritardo: la gloriosa 685 serie 300, ancora in servizio su quella relazione, con quelle sue ruotone non era proprio la macchina ideale per un servizio vicinale. Sul marciapiede della stazione Mario aveva incontrato dei colleghi che lo avevano salutato a malapena, perché lui non aveva aderito allo sciopero dell’11 luglio contro l’USIP e le aziende petrolifere da essa rappresentate. Pazienza, aveva pensato. Il giorno successivo si sarebbe incarrozzato per tornare a Bari Centrale alle 15:54 con un altro accelerato, il 4834, anch’esso un treno pendolari di quelli trainati da una vaporiera e sempre soppressi le domeniche; il più che sicuro, anche in quel caso, ritardo non lo preoccupava, perché per arrivare in fabbrica alla Stanic puntuale per il turno delle 18 ci sarebbe stato comunque tempo. Il giorno 19, un sabato, verso le otto e mezzo scese in strada e sentì voci che si rincorrevano tra la gente, voci che parlavano di un’esplosione nella notte a Bari e, da una radiolina a transistor di un bar sintonizzata sul giornale radio della Puglia, venne fuori la notizia di un oleodotto saltato per aria nella stazione di Bari Parco Nord. Mario non ebbe dubbi: si trattava delle tubazioni che trasportavano il greggio dal molo San Cataldo alla sua Stanic.
La raffineria Stanic era uno stabilimento nato nel 1936, in pieno periodo autarchico, per la produzione di idrocarburi sintetici. Le sanzioni impostele dalla Società delle Nazioni avevano spinto infatti l’Italia fascista a cercare soluzioni alternative all’importazione del petrolio, spingendo per la crezione dell’ANIC, Azienda Nazionale Idrogenzione Combustibili. Nel dopoguerra l’Anic, in partecipazione paritaria con l’americana Standard Oil, fondò una nuova società che prese il nome, appropriatamente, di Stanic. La nuova gestione trasformò gli impianti di Bari e Livorno e li adibì alla raffinazione del greggio.
Il grande stabilimento di Bari, chiuso nel 1976, giaceva in un’area a nord ovest della città, ed era raccordato con la ferrovia da un binario che partiva dall’importante scalo merci di Parco Nord; questo era il nodo di smistamento delle merci da e verso il porto, e per via della sua struttura a triangolo le operazioni si svolgevano con una certa facilità viste le minori necessità di regressione dei convogli.
Per evitare macchinosi trasbordi e manovre di carri cisterna, tuttavia, i prodotti petroliferi Stanic venivano trasportati dal molo San Cataldo del porto ai serbatoi di stoccaggio con un oleodotto dedicato, che correva sotto il livello del suolo.
In corrispondenza dell’inevitabile attraversamento del grande fascio di binari di Bari Parco Nord le tubazioni erano state calate in una trincea rivestita di pietra e muratura, coperta da lastroni di calcestruzzo. Questa galleria artificiale era praticabile per consentire la visita e la manutenzione degli impianti.
La notte del 18 ottobre 1963, alle 23 e 35, il boato di un’esplosione scuote i vetri delle caserme che confinano a nord con lo scalo: sembra sia saltato proprio l’oleodotto Stanic, quello che corre sotto i binari. L’incidente si rivela da subito gravissimo: un treno di cisterne a due assi per il trasporto combustibili era in via di composizione proprio lì, sulla condotta che salta in aria; un primo carro esplode subito, accartocciandosi per il calore e scivolando nel fosso aperto nel terreno dal quale fuoriesce greggio liquido in fiamme e la 835 che lo stava manovrando viene sbalzata indietro di cinquanta metri, impennandosi e schiantando il suo stesso treno finendo poi seduta sulla carboniera. Prendono poi subito fuoco altri carri vicini che, scriverà Italo Palasciano su “L’Unità”, saltano in aria “come giocattoli” e fanno propagare uleriormente le fiamme. La paura è che il rogo possa estendersi ancora e raggiungere la raffineria, ma soprattutto il non lontano stabilimento della Liquigas: sarebbe una catastrofe per tutta la città.
Scatta l’allarme anche, naturalmente, a Bari Centrale: i treni in arrivo da nord vengono bloccati nella stazione di Santo Spirito, l’ultima della linea con un piazzale di una certa capacità. I viaggiatori vengono fatti scendere dal direttissimo 153 da Bologna e dal rapido R 627 da Roma. A bordo di questo c’è Renato Scionti, parlamentare del PCI eletto a Bari, che narrerà di gente in attesa di un mezzo sostitutivo per raggiungere il capoluogo ancora alle due di notte. Il servizio ferroviario in direzione nord è completamente interrotto; i treni per Roma e Napoli sono instradati via Taranto e Battipaglia.
Le lingue delle fiamme sono altissime, e bruciano una ferale miscela di benzina trasportata dai carri, di greggio dell’oleodotto e di gas di spurgo delle condutture di ritorno. Dalla Stanic chiudono immediatamente le saracinesche all’interno dello stabilimento, e così fanno anche sul molo petroli, negando al fuoco altro combustibile e scongiurando pericolosissimi ritorni di fiamma. È l’intero corpo dei Vigili del Fuoco della città di Bari a dover intervenire, pomperanno acqua e spaleranno terra fino all’alba, quando le fiamme finalmente si estingueranno. Nelle ore dopo la conflagrazione i ferrovieri in servizio a Parco Nord vengono raggiunti dai colleghi provenenienti dal deposito locomotive: si spostano freneticamente, tra i binari che si vanno deformando per il calore, i carri con i carichi pericolosi, e sono tanti quella notte; una cisterna privata dell’Agip vicinissima alle fiamme e miracolosamente non esplosa viene tirata via in gran fretta in direzione nord: il marchio “Supercortemaggiore” sul serbatoio scrostato dal calore sarà ancora visibile il mattino dopo, passata l’emergenza.
Attirati dalla luce dei roghi e dalla confusione, si radunano nei pressi del cancello di via Napoli centinaia e centinaia di baresi residenti nelle vicinanze, e tra loro ci sono i familiari dei ferrovieri di turno quella notte. In una prima conta mancano all’appello in due, un macchinista e un deviatore; un altro macchinista, ferito e ustionato, viene trasportato via in ambulanza.
A prima mattina l’incendio sembra essere sotto controllo. La temperatura, innalzata dai roghi, è ancora però troppo elevata per far cessare lo stato di allarme: nello scalo sostano ancora troppi carri cisterna, alcuni dei quali pieni di gas liquido. L’odore di petrolio e di combustione è ancora talmente forte che a tutti i presenti, manovali e ferrovieri, inviati delle Ferrovie e giornalisti, è proibito di fumare. La cosa potrà sembrare banale a noi che scriviamo nel ventunesimo secolo, ma in quegli anni non era ancora così. La mattina del giorno dopo consegna anche il corpo, ritrovato in un fosso, del giovanissimo aiuto macchinista Francesco Simone, ucciso e scaraventato lontano dall’esplosione. Sarà l’unica vittima del disastro.
Passata l’emergenza, si indagano le cause ma soprattutto si cercano dei responsabili. Le FS danno per scontato che a saltare sia stato l’oleodotto, ma dalla Stanic rispondono che ad originare il disastro è stato un carro cisterna di passaggio. Nascono due, tre, commissioni d’inchiesta. Già però il giorno 21 ottobre i deputati del PCI Renato Scionti, Antonio Assennato e Giuseppe Matarrese presentano un’interrogazione rivolta al ministro dei trasporti Jervolino, dove si chiede “come ha potuto essere autorizzato il sottopassaggio della tubazione della Stanic in una sezione del fascio dei binari così prossima alla stazione centrale” e “quale controllo veniva esercitato per assicurarsi, periodicamente, del buono stato dell’oleodotto”. Riceveranno risposta solo il 20 gennaio 1964 per voce del sottosegretario Salvatore Mannironi del subentrato, nel frattempo, governo Moro: “Le indagini sono tuttora in corso e mi riservo perciò ulteriori comunicazioni non appena le commissioni d’inchiesta avranno tratto conclusioni definitive”.
A Bari Parco Nord cominciano da subito i lavori di ripristino, quanto meno parziale, della circolazione ferroviaria. Da Napoli arriva il treno soccorso di quel deposito, con la moderna – per l’epoca – gru Cockerill da 85 t. I relitti vengono pazientemente rimossi, il servizio riprende. Si discute sempre delle cause, ma suscita perplessità un improvviso embrassons nous tra Stanic e Ferrovie: l’onorevole Stefano Lenoci del PSI interroga il riconfermato ministro Jervolino il 14 aprile del 1964: “Sono stati iniziati, con evidenti accordi tra l’amministrazione ferroviaria e la Stanic, lavori che porterebbero al ripristino di una situazione di insidiosa pericolosità. Anche le commissioni interne del personale di macchina e di trazione direttamente interessate, sorrette dall’unanime consenso della cittadinanza, hanno rilevato l’illogicità di tale non nuova soluzione, prospettando invece la possibilità di modificare il tracciato di percorso dell’oleodotto portandolo ad incrociare più a nord la sede ferroviaria, anziché sotto i 13 binari di corsa del precedente complesso, sotto due soli binari di corsa.”
La risposta del governo, questa volta, è sollecita: “Il cunicolo che sottopassa il piazzale ferroviario di Bari parco nord a suo tempo realizzato per la posa degli oleodotti di collegamento della raffineria Stanic con il terminale marino del porto di Bari, ed andato distrutto in seguito alla nota esplosione del 18 ottobre 1963, non verrà ripristinato. In sostituzione verrà realizzato un nuovo attraversamento, indispensabile per l’esercizio della raffineria, in altra zona possibilmente fuori dello stesso Parco Nord. Un’apposita commissione sta ora effettuando lo studio del tracciato. Si assicura comunque l’interrogante che il nuovo attraversamento rispetterà tutte le norme in vigore, atte a garantire la sicurezza dell’esercizio e l’incolumità delle persone.”
La raffineria Stanic cesserà l’attività nel 1976. Le lotte sindacali che avevano portato Scionti e altri parlamentari di sinistra a interrogare più volte il governo chiedendo lumi sulla politica industriale che la riguardava, scrivendo che “da anni non provvede all’ammodernamento degli impianti, né si dà cura di provvedere all’ampliamento della darsena per assicurarsi il rifornimento a mezzo delle moderne grandi navi petrolifere, e che per ultimo la direzione va sollecitando e favorendo l’esodo o il trasferimento delle maestranze” si risolvono così, con la progressiva riduzione degli organici degli operai e degli impiegati fino alla chiusura totale.
Mariolino Sirressi, perso il lavoro nella Stanic a quasi cinquant’anni, si presentò ad un concorso in ferrovia e lo vinse; come ultima destinazione fu assegnato proprio a Bari Parco Nord, quando però quell’odore di petrolio e gas non lo si sentiva ormai più.
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