Il viaggio lungo 85 anni dell’unica e sola “Littorina” delle FSE
Di Francesco Comaianni
“Ho preso la Littorina”: non si diceva forse così, una volta? Oggi quel termine lo usano in pochi, ma nella parlata degli italiani ha indicato per decenni le automotrici, regine e protagoniste del traffico locale sulle ferrovie principali e periferiche. A voler approfondire, la parola “Littorina” è però riferita a un mezzo ben preciso, collocato in una ben precisa epoca: la piccola automotrice termica degli anni del fascismo, e così tanto somigliante a un autobus. L’origine esatta del termine è dibattuta, tuttavia l’interpretazione più accreditata è quella associata al viaggio di Mussolini di martedì 18 ottobre 1932 da Roma a Littoria, la Latina di oggi, per l’inaugurazione della nuova stazione. Il viaggio si compì a bordo di un prototipo di costruzione FIAT, la AUTOz: era di fatto un grosso bus messo su rotaie, del quale la propaganda si affrettò a dire “si guida come un’automobile e va a 120 km all’ora”. Il Popolo d’Italia, organo ufficioso del Partito Nazionale Fascista, volendo probabilmente rispondere alle prove svolte sui binari italiani dalle automotrici francesi “Micheline”, ebbe a battezzare Littorina il nuovo leggerissimo mezzo.
Il successo fu immediato. Dopo un periodo di prova e messa a punto le Ferrovie dello Stato immisero in servizio in breve tempo le Automotorici Leggere a Benzina dei gruppi ALb 48, ALb 64, ALb 72 e ALb 80, dove la cifra della sigla indicava il numero di posti a sedere offerti. Nel corso degli anni ricevettero, progressivamente, diverse migliorie tecniche, prima fra le quali la sostituzione dei motori a benzina, non del tutto esenti dal pericolo di incendi, con quelli Diesel a ciclo veloce, più semplici, più sicuri e con migliore rendimento termico.
Già verso la metà degli anni Trenta i mezzi automotori leggeri si erano affermati un po’ in tutta Europa, ma riscossero particolare successo proprio in Italia, sia per il buon livello di servizi offerti al pubblico in termini di comfort e di velocità, sia per la maggiore efficienza, in termini economici, rispetto alle locomotive a vapore. Le “Littorine” divennero ben presto il simbolo dell’autarchia fascista e le maggiori fabbriche dell’industria nazionale furono coinvolte nella loro costruzione e sviluppo; FIAT e Breda in particolare fornirono alle FS centinaia di Automotrici Leggere a Nafta tipo ALn 56 e 556.
Oltre alle Ferrovie dello Stato furono diverse le ferrovie italiane in concessione che fornirono commesse per la costruzione di veicoli leggeri con caratteristiche simili a quelli consegnati alle FS: tra il 1933 e il 1938 la S.F. Santhià-Biella, la Ferrovia Suzzara-Ferrara, la Pisa-Pontedera, le Ferrovie Meridionali e Complementari Sarde, la Bologna-Malalbergo, la Circumetnea e Ferrovia Arezzo-Fossato ordinarono alla FIAT diversi modelli per complessive 32 unità. La Breda ricevette invece, per conto delle Ferrovie Nord Milano, un ordine per tre automotrici sostanzialmente identiche alle ALn 556 FS di seconda serie.
Sui binari italiani, tuttavia, trovarono successo anche delle “Littorine” derivate da progetti stranieri. L’Asse Roma-Berlino, alleanza politica e militare che si andava formando proprio in quegli anni, facilitò la costruzione su licenza, tra i tanti esempi, delle automotrici “MAN”, dal nome della fabbrica tedesca, la Maschinenfabrik Augsburg-Nürnberg, che le aveva progettate. La MAN fornì alle Officine Meccaniche della Stanga di Padova e alle Officine Meccaniche Italiane di Reggio Emilia motori e disegni, adattati alle esigenze italiane partendo dai modelli che in quegli anni venivano forniti alle ferrovie private tedesche.
Tra il 1936 e il 1938 le la Stanga costruì per le linee della Società Veneta nove unità, numerate da ADn 501 a 509; le prime tre entrarono in servizio nel 1936, altre tre nel ’37, le restanti nel 1938. Le Officine Reggiane allestirono invece nel 1937 le tre automotrici CFR – AUTO 9000, numerate da 9001 a 9003, che rimpiazzarono i treni a vapore sulla linea Reggio-Sassuolo del Consorzio Cooperativo Ferrovie Reggiane.
Arrivate già nel 1939 a una terza serie costruttiva, le automotrici di progettazione MAN raggiunsero l’Italia del sud, con quattro unità per le Strade Ferrate Sovvenzionate messe in servizio sulla linea Benevento – Cancello via Valle Caudina, e con sei ordinate dalle Ferrovie del Sud-Est, tutte costruite dalle officine Stanga.
Le MAN delle Ferrovie del Sud-Est, dopo una serie di prove compiute nell’autunno dello stesso 1939 sulle linee del nodo di Bari, furono ufficialmente battezzate con una cerimonia inaugurale tenutasi a Martina Franca il 29 aprile 1940, entrando in servizio il giorno dopo. Queste furono i primi rotabili Diesel della compagnia e si possono definire a tutti gli effetti le uniche, autentiche “Littorine” in circolazione su quella rete, pur lontane nelle sembianze dai mezzi che venivano definiti tali. Come per tutti i rotabili delle FS il fascio littorio venne applicato anche sulle loro testate, così come su quelle delle gemelle della Benevento-Cancello e sulle altre sorelle maggiori della SV e del CFR, a volerle mostrare come un prodotto dell’industria nostrana e dimenticandone, o forse volendo nasconderne, l’origine straniera.
Erano delle automotrici a carrelli che montavano in origine un unico motore a ciclo Diesel ad iniezione da 225 HP a 1100 giri/min del tipo W6V 17,5/22, con cilindrata di 31.750 centimetri cubici; la trasmissione meccanica a quattro marce consentiva altrettante velocità: 14,4 km/h, poi 33, 49 e 88, in entrambi i sensi di marcia. La cassa metallica a struttura completamente saldata ospitava all’interno, separati da un vestibolo di accesso, due compartimenti: uno con sessanta posti inizialmente di terza classe e dal 1956 di seconda, e l’altro con sedici di prima. Il motore e il compartimento bagagli erano ospitati nel vano della cabina di manovra opposto alla sezione di prima classe. C’era un’unica ritirata, con lavabo ad acqua corrente, accessibile dal vestibolo. Come i rotabili FS dell’epoca, queste unità ricevettero la colorazione Castano-Isabella, che rimase in uso fino alla seconda metà degli anni Cinquanta.
Con lo scoppio delle ostilità l’approvigionamento dei ricambi diventò via via sempre più un problema, fino al punto di vedere bloccate alcune automotrici, specie dopo l’entrata in guerra dell’Italia. A questo si aggiunse l’incidente occorso il 10 dicembre del 1943 a una di esse tra Putignano e Noci, che provocò dieci morti e quindici feriti.
Le vicende belliche fecero sì che tutte le dieci unità MAN di costruzione Stanga in servizio nel Meridione venissero riunite in Puglia, dove finirono con lo svolgere un lungo servizio sui 474 km delle Ferrovie Sud-Est. Le FSE acquisirono in via definitiva poi grazie ad un’apposita autorizzazione ministeriale datata 7 giugno 1946 i telai, i carrelli e ciò che di altro rimaneva delle quattro unità della Benevento – Cancello rimaste gravemente danneggiate dagli eventi della guerra. La loro completa ricostruzione e rimotorizzazione furono affidate alle stesse officine che le avevano costruite, finendo col risultare così praticamente identiche a quelle già in servizio sulla rete pugliese: l’Ad 07 fu rimessa in piedi dalle Reggiane, le Ad 08, 09 e 10 dalle Stanga. Le quattro unità entrarono in servizio in Puglia tra il 7 e il 10 giugno del 1952, mantenendo curiosamente la stessa numerazione che avevano sulle ferrovie campane dalle quali provenivano.
Le Ad 01-10 rimasero gli unici rotabili Diesel del parco fino al massiccio ammodernamento di inizio anni ’60, quando furono affiancate da ben trenta nuove automotrici a carrelli marcate da Ad 51 a 80 e consegnate in una livrea verde magnolia, grigio nebbia e rosso segnali sui frontali, colori ben presto applicati anche alle più anziane MAN. In accordo con i colori degli altri rotabili nel frattempo messi in servizio dalla compagnia, con particolare riferimento alle locomotive Reggiane BB, negli anni Settanta questa livrea fu sostituita a sua volta dalla nuova elegantissima “Verde foreste”.
Nonostante l’immissione in servizio, tra il 1978 e inizio 1979, delle automotrici “O.ME.CA” Ad 31÷45, le FSE vararono il 22 febbraio 1979 un piano di sostituzione del vecchio motore MAN con un più moderno Breda ID 36 6V tarato a 160 kW, a seguito di un esperimento tentato in precedenza sull’Ad 10 e che aveva dato esisto positivo. Fu dunque previsto di estenderlo a tutte le unità del gruppo, assieme ad altri interventi migliorativi: fu variato il rapporto al ponte dal valore 32/35 a 30/36, fu sostituito l’impianto di raffreddamento e venne ammodernato l’impianto elettrico. Anche il confort offerto al personale di bordo e ai viaggiatori vide un radicale salto in avanti con la sostituzione dei finestrini a scomparsa con quelli a mezza apertura Klein; vi fu poi la sostituzione del sistema d’illuminazione interna, l’applicazione di tramezzature tra cabina e bagagliaio, vestibolo, e vano di seconda classe, il miglioramento complessivo delle cabine di manovra con soppressione dell’intercomunicante e la sostituzione delle bagagliere.
La colorazione esterna della cassa, dotata di un nuovo faro di profondità su entrambe le testate, era ora in Bianco azzurro-Beige pergamena, sulla falsariga delle allora diffusissime ALn 668. Questi lavori di revamping, come verrebbero chiamati oggi, furono eseguiti in sede di Revisione Generale presso le Officine della Stanga di Padova cominciando con la Ad 03, tornata poi sulla rete nel settembre 1982, e seguita poco dopo dalle Ad 06 e 07.
Gli interventi riguardarono tutte le unità a eccezione della Ad 08 che lunedì 26 ottobre 1981, mentre era in coda al treno AT 713 da Maglie e Otranto e ancora nella livrea “Verde foreste”, fu interessata da un incendio. L’automotrice risultò irreparabile e fu accantonata a Bari Sud Est, prima del suo Gruppo a essere radiata; la seguì molti anni dopo la Ad 10, finita anch’essa incendiata, lei però dolosamente, nella stazione di Gallipoli nel 1992.
Nel 1995 le otto unità rimaste erano ormai agli sgoccioli della loro carriera, dopo più di sessantacinque anni di servizio. L’elevata rumorosità, giudicata ormai intollerabile per i criteri sanitari dell’epoca relativi alle postazioni di lavoro, impose che venisse utilizzata la sola cabina opposta a quella che ospitava il vano motore; dal punto di vista dell’operatività era un grandissimo colpo di scure, perché vincolava le macchine a percorrere esclusivamente le linee della rete leccese, disposte in forma circolare.
Fu l’inizio della fine e ben presto sette delle otto unità superstiti furono accantonate per essere avviate alla demolizione; l’ultima a rimanere in servizio fino al 1997 fu l’Ad 06, acquistata poi due anni dopo dall’AISAF, l’Associazione Ionico Salentina Amici Ferrovie, per essere restaurata ed esposta nel costituendo museo ferroviario della Puglia a Lecce.
Per le sorelle meno fortunate, accantonate negli scali di Mungivacca e Zollino, le demolizioni cominciarono nel 2008 e posero fine a una lunga agonia fatta di vandalismi e saccheggi. Solo l’Ad 04, in migliori condizioni rispetto alle altre, fu preservata da parte dell’azienda per la costituzione di un eventuale parco storico, progetto rimasto però nel limbo delle buone intenzioni. Tuttavia, in virtù del vincolo imposto nel frattempo sui vecoli con più di 75 anni di età, non può ormai più essere demolita. Sulla Ad 06 del Museo Ferroviario di Lecce, invece, dopo un primo intervento del 2005 di restauro estetico della vecchia livrea “Verde foreste”, nell’inverno del 2024 sono cominciati dei nuovi lavori che la ripristineranno in Grigio azzurro e Beige pergamena, colori più consoni allo stato dell’arte del rotabile.
Non si fermerà dunque qui la storia, lunghissima, delle MAN delle Ferrovie Sud-Est. Salutiamole però chiamandole come erano abituate, in quegli anni ormai lontani nel tempo: arrivederci, “Littorine”.
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