Vado, ci ritorno

Oggi non è il 15 aprile e in ferrovia non ricorre alcun anniversario, perlomeno nessun anniversario rotondo, giusto; ma i ricordi sono accompagnati anche da numeri sbiechi, obliqui, tutt’altro che quadrati. A costo di apparire un po’ troppo omerici, ci viene oggi di scrivere che come la terra quando si dà uno scossone fa apparire caduchi i più solidi dei manufatti umani, così il fato, quando periodicamente si manifesta, ci ricorda della sua esistenza e della sua imperscrutabilità.
Chi inventò il treno aveva già nella testa come sarebbe stata la ferrovia del 15 aprile 1978: pulita, moderna, con tanti passeggeri e tanto traffico. È un mezzogiorno italiano, di quel paese che si è emancipato e sembra aver abbandonato il ruolo di costante ritardatario nella scolaresca dell’Europa moderna. E in questo mezzogiorno c’è un treno bello e veloce che porta la sua gente verso Roma, e ce n’è un altro, forse meno bello e sicuramente meno veloce, che porta la sua verso Trieste. Come tutti i treni hanno dei numeri unici che li contraddistinguono, numeri che servono al viaggiatore per capire a che ora e da dove partono, e dove sono destinati. Quelli dei nostri due sono l’813, che consultando un libricino conosciuto come Orario Pozzo risulta essere partito da Venezia, e il 572 bis, che qualche pagina più in là scopriamo venire da Bari. Questi due treni si andranno a incrociare, percorrendo strade ferrate stese lungo il terreno in modo parallelo, verosimilmente in un luogo aperto, in questo caso l’amena campagna dell’Appennino bolognese, tra i boschi del monte Venere e i suoi declivi, i caseggiati contadini e quelli padronali.

L’appenino bolognese nei pressi della frazione di Murazze di Vado. Foto Marco Di Marco

Il fato, l’ospite inatteso e certamente indesiderato della nostra storia, si era mostrato qualche giorno prima, e aveva preso la forma della pioggia. Se fosse stato una divinità avremmo detto che aveva cercato con spietata scaltrezza un’imperfezione umana, una distrazione, o un semplice calcolo approssimato e dunque fallace. Già, un calcolo, un’altra cosa fatta di numeri, numeri che probabilmente non avevano tenuto conto delle quantità di acqua che con le precipitazioni di quei giorni si sarebbe infiltrata al di sotto di un terrapieno. Ma quale calcolo potrebbe mai prevedere l’intervento del fato? La terra dal lato monte del rilevato ferroviario, nei pressi di una piccola frazione di un paese, frana prima del transito del treno meno bello e meno veloce e delle sue locomotive, che erano due perché dietro la prima ne era agganciata una seconda che stava rientrando in un’altra stazione, dove avrebbe agganciato un altro giorno un altro treno. Le locomotive sviano e vanno a invadere il binario accanto, quello dove i treni che incroci ti salutano senza toccarti, perché corrono paralleli e lontani almeno un paio di metri. Ma oggi su quel binario ci sono dei numeri che non dovrebbero esserci, e cioè E.645 016 e E.636 282, le locomotive deragliate. E ci sono ancora altri numeri, come il 110, che sono i chilometri all’ora ai quali il treno con il numero 813, quello più bello e più veloce, con le sue elettromotrici dai grandi finestrini, sta viaggiando con destinazione Roma. Punta il muso inconsapevole verso quel tratto di binario che risulta libero, perché i segnali danno via libera, e dunque la sezione è sgombra, e quindi si va. E invece quel binario è occupato dai numeri dell’Espresso 572 bis, che non doveva nemmeno esserci, lassù, tra Firenze e Bologna, perché da Bari a Trieste si fa sempre l’Adriatica; ma la pioggia era caduta anche laggiù, un viadotto era crollato e il treno era stato deviato via Roma per riprendere il suo tragitto originale solo dopo Bologna. E ancora un altro numero, il 20, come le ore del suo ritardo.

I soccorritori al lavoro sul treno precipitato nella scarpata. Foto ANSA/OLDPIX.

Il fato, contro il quale neanche gli dei possono nulla, non fermerà le ALe 601 del treno bello e veloce. E gli occhi dei due macchinisti si sbarreranno, e la cabina si accartoccerà. I loro resti e quelli dei due colleghi sulla locomotiva precedentemente sviata saranno irriconoscibili per i soccorritori, che giungeranno sul posto ore dopo. Chi quel giorno aveva scelto di viaggiare in macchina sulla vicina Autostrada del sole si troverà spettatore involontario dell’orrore. I passeggeri dell’813 verranno scotolati nelle carrozze dove poco prima erano placidamente accomodati; molti finiranno sbalzati per aria, alcuni fuori dai finestrini, mentre parte del treno scivolerà nella scarpata di sotto. Moriranno in quarantotto.

L’italianissimo Klaus Bachlechner verrà visto volare al di sopra dei calciatori suoi compagni lungo il corridoio della carrozza dove era seduta la sua squadra che non doveva trovarsi su quel treno, perché per andare a giocare contro la Roma all’Olimpico per la ventisettesima giornata di campionato in programma l’indomani il Verona calcio avrebbe dovuto prendere l’aereo, che non partì per via del maltempo. I giocatori non avrebbero dovuto trovarsi neanche in quella carrozza, perché quella era la ristorante e vi si erano appena seduti, lasciando i posti vuoti sulla Le 601 che finirà dilaniata. E non doveva esserci neanche una ragazza di Brescia, che avevano invitato a pranzare con loro. Si salveranno tutti, anche il mister Ferruccio Valcareggi, proprio lui, quello di Italia-Germania 4-3, mondiali del Messico, Messico e nuvole, nuvole e pioggia, pioggia e dolore. Murazze di Vado, 15 aprile 1978.

Una delle semicasse della E.645 016, la locomotiva titolare dell’Espresso 572 bis Bari – Trieste, nel deposito di Bologna il 13 ottobre 1984. La locomotiva sarà demolita, mentre la E.636 282 che era di rimando in seconda posizione venne riparata. Foto Michele Mingari.

© 2024 La Rivista della ferrovia
Testata iscritta nel Registro degli Operatori di Comunicazione con il numero 39989.
Sono vietate la copia, la riproduzione e la ridistribuzione anche parziali dei contenuti di questa pagina senza espressa autorizzazione della redazione.

Lascia un commento

Your email address will not be published.